RIASSUNTO E COMMENTO DELLA PARTE SESTA DEL LIBRO ARCHITETTURA E MODERNITA' DI ANTONINO SAGGIO

 

Zaha Hadid (Zaha Hadid) è nata in Iraq e si è formata a Londra presso l'Architectural Association. E’ considerata uno degli architetti più influenti della storia grazie alla sua teoria e ricerca sulla creazione di un nuovo modo di interpretare l’architettura e l’idea di contesto.

Per immergerci nel modello architettonico di Hadid dobbiamo partire proprio dal contesto, ma in questo caso non quello urbano, ma quello storico-concettuale.

L’architettura degli anni 80, del secolo scorso pone le sue prime basi nel 1978, anno embrionale di eventi a volte uniti a volte distanti, indispensabili però a capire il quadro architettonico che ci porterà verso una nuova idea di architettura.

“Gli anni settanta sono gli anni del linguaggio e della fiera rivendicazione del significato e dell’autonomia dell’architettura in opposizione alle sperimentazioni legate alla partecipazione degli utenti.”

Negli anni ottanta invece l’architettura prende una strada più consapevole sui limiti della città “che non si può estendere all’infinito”. Si volge lo sguardo al tema della natura cercando di preservarla e/o di innestarsi al suo interno in maniera organica e rispettosa. Ed è in questo scenario di una collettiva epifania che prende strada il concetto di “contesto” che assume significati come “luogo”, “quadro sociale”, “tessitura”, “campo”.

E in ottemperanza a questo nuovo valore, la città embrione che darà vita ad una serie di sperimentazioni sarà quella forse più ricca di una stratificazione storica: Roma.

Fu proprio nel 1978 che avvenne la mostra “Roma interrotta” a cui parteciparono dodici architetti tra i più noti dell’epoca. Il loro compito fu quello di analizzare una parte specifica della pianta di Roma del Nolli, del 1748, “reinterpretandola, agitandola ed occupandola secondo la loro sensibilità e la cultura architettonica e urbana di ciascuno.”

Ne emerge una serie di lavorazioni straordinarie di una città tutt’altro che interrotta, ma parte di un tessuto multi strato che si dirama, nel caso per esempio di Portoghesi, come un segno su di un foglio di sughero. Ne escono tavole ricche di un legame fortissimo tra vegetazione ed acqua, tra città e roccia, in un cluster che si identifica in questa nuova coesione.




(Paolo Potoghesi, tavole incise nel sughero per la mostra di Roma interrotta)


Come a Roma, anche a Berlino spopola questa nuova visione di contesto attraverso l’Internationale Bauausstellung Berlin (IBA). In questo caso il tema è il rapporto tra architettura e spazio pubblico. Si ritorna ad un sistema insediativo tipico ottocentesco dove i singoli edifici sono affidati a progettisti distinti e la ricerca architettonica volge il suo sguardo nei materiali.

È un sistema fortemente consolidato messo in crisi però da una nuova visione che si stava affermando a poco a poco nelle menti di tre fondamenti architetti del panorama internazionale di architettura contemporanea.

Per descriverli verranno usate parole chiave per ognuno di loro.

Palinsesti

Si apre lo scenario con Peter Eisenman che in quegli anni attraversa una fortissima crisi personale e generale. La perturbazione che stava affrontando era causata dalla sua carriera in bilico tra il filone accademico e quello professionale, senza però riuscire ad eccellere o riconoscersi in nessuno dei due.



La chiave di volta arriva proprio nel 1978, quando viene chiamato a intervenire nell’area di Cannaregio, a Venezia. Organizza il progetto su una serie di griglie che sono ricavate da una lettura della città stratificata. Innesta un meccanismo di layer che vengono generati da diversi strati della stessa città, ognuno inerente ad una specificità dall’area. La magia però avviene proprio dalla sovrapposizione dei layer. Si genera così una griglia guida che darà vita al progetto vero e proprio.

Di notevole successo fu anche la nuova concezione di spazio in between, ovvero un meccanismo che trova riparo e forza nel “già costruito” nella “terra di mezzo” dove, prima di lui, moriva il tempo e lo spazio.

(Peter Eisenman, Wexner Center for Visual Arts)


Invece di andare ad occupare terreno nuovo, Eisenman, nel progetto per il Wexner Center for Visual Arts, decide di innestarsi tra due preesistenze. Si genera così una maglia reticolare tridimensionale che giace in between. Reduce dell’innesto urbanistico di Berlino, inventa un nuovo edificio-percorso che non può fare a meno del luogo e dunque del contesto.

DEI PAESAGGI RESIDUALI

Spostandoci dall’altra parte del mondo, in America, più precisamente a Santa Monica, Franck O. Gehry sempre nel 1978 compirà un gesto fortissimo che vedrà coinvolta l’arte e l’architettura.


(Frank Gehry casa a Santa Monica)


Per descrivere quest’azione è giusto fare un appunto sul periodo artistico-culturale di quegli anni. È infatti in questo periodo che trova respiro la Pop(ular) Art di Andy Warhol, Lichtenstein e Oldenburg.

L’architettura aveva già compiuto passi verso questa nuova forte corrente artistica, sfumandone però le premesse. Gehry, al contrario, “all’architettura-decorazione sostituisce l’architettura-costruzione” vista come mera sperimentazione di assemblaggio tra le parti. In questo caso il contesto non è quello visto dagli architetti post-modernisti, ma è un nuovo modo di vedere il mondo attraverso le lenti ritrovate dell’arte contemporanea. È dunque qui che Gehry apporta il suo contributo all’idea di contesto con il concetto di cheapscape.

DELLE TESSITURE

Il lavoro di Hadid ha una matrice grafica, che rimanda a un chiaro riferimento: quello di Paul Klee. In netto contrasto con il nuovo plasticismo, la differenza tra lo sfondo e i personaggi è netta ed evidente. Nei dipinti di Klee, la struttura del dipinto è continua, il piano cambia, si sovrappone, oscilla e, soprattutto, si fonde in un unico tessuto . Per Hadid, la pittura e l'architettura sono atti di fornire sintassi e definire idee, creando uno spazio spirituale, il cui scopo è connettere varie parti, a partire dall'astrazione, dalla grafica e dalle relazioni concettuali, per diventare strutture architettoniche concrete.



(Zaha Hadid, Vitra Foundation)


“Hadid è attratta dalle forze dinamiche, guizzanti veloci delle costruzioni. [..] Ibridandosi alla propria idea di paesaggio diventano ispirazione per creare una forma di architettura a metà edificio e metà articolazione fisica e infrastrutturale di paesaggio”

Ogni forma è generata e poi creata attraverso un processo di analisi e di sintesi che scava a fondo nel contesto ed emerge dallo stesso in continuità con la materia circostante. Non si limita, non si frena, non si abbandona ad un’idea di staticità irreale. Si pone a volte in bilico sul terreno mentre altre diventa un unico tessuto tirato, strappato, allungato, ridimensionato e dinamico che conferisce organicità alle sue opere e che ha mosso di conseguenza anche il mio interesse nei suoi confronti.

 DEDUZIONI

Zaha hadid ha creato quella che reputo come una simbiosi tra architettura e natura dove rivisita senz’altro il concetto di organicità. Lei è diversa dai lavori di Aalto o di Whrigt. Si può quasi dire che lei sia diversa un po’da tutti. Ma certo una cosa è chiara. È nata nel tempo e nello spazio giusto. Come il paragrafo del libro “architettura e modernità” spiega benissimo, era quasi inevitabile che si arrivasse ad una risposta così. Come un contraccolpo la sua architettura genera una serie di legami che inondano la città nella sua interezza e ne emerge un sapere più profondo che da forza alla sua espressione.

Ho scelto lei per questa esercitazione perché sicuramente non da le risposte che cerco per il mio progetto ma guarda verso una direzione progettuale che ho avuto modo di approfondire e studiare meglio e che reputo essere una buona chiave di lettura per la mia area specifica.

Il dinamismo elegante con cui genera queste forme “tirate su come da un drappo morbino” del Baku Center le ho interpretate anche come una ricerca profonda che ha portato ad un’evoluzione dove si perde la dimensione di spigolo. Ed è su questa definizione di fluidità che vorrei porre le basi per il mio progetto


(Smart city di Mosca)


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