"Less is more" = Felicità
Il mio imprinting inizia con un viaggio non troppo lontano nel tempo e nello spazio.
Correva l’anno 2013 e avevo appena iniziato il terzo anno
del liceo artistico e come indirizzo avevo scelto proprio architettura. Ricordo
chiaramente il primo approccio che facemmo ad un progetto. Fu la prima volta
che sentii nominare un certo Mies Van de Rohe. Il professore ci fece studiare il
suo padiglione espositivo per Barcellona, del 1929. Non ne sapevo nulla di
architetti e architettura, ma il prof non faceva altro che dire che lui, Mies,
era uno dei grandi maestri del 900. Non fu subito amore, lo ammetto.
Nei vari ridisegni che feci per studiare il padiglione mi
domandavo costantemente come fosse possibile definire lo spazio con così pochi segni.
Criticavo la forte razionalità e la geometria precisa e a volte ripetitiva.
Ricordo che in una prospettiva ridisegnai anche tutte le venature del marmo e il
riflesso di quei pilastri cruciformi. Ne
studiavo i moduli e le pannellature, così come le grandi vetrate e la piscina
che era così tanto ben inglobata nel progetto che potevi anche non farci caso.
Il lavoro di studio durò circa un mese mezzo ma a sole due
settimane dall’inizio del corso dovetti partire in Spagna con mio padre,
destinazione Barcellona.
Il viaggio durò pochi giorni, ma nella fretta delle cose da
fare riuscii a convincere mio padre a portarmi a vedere il Padiglione di Mies Van
der Rohe.
Non so bene descrivere cosa provai quando lo vidi per la
prima volta, ma ricordo bene che mio padre mi disse, in maniera frettolosa: “ma
siamo venuti fino a qui per vedere una casa di marmo?”
Sembrerà strano, ma quella frase mi fu fondamentale per
capire meglio cosa avevo davanti ai miei occhi.
Con tutta la mia eloquenza descrissi a mio padre ogni
particolare. Partii dall’armonia dei moduli con il quale era scandita la
pavimentazione e proseguii facendogli vedere come il marmo assume un carattere
diverso in base a come è disposto nello spazio. Cercai di fargli capire la
potenza che quel gioco tra vuoto e pieno e l’eleganza tra l’accostamento del vetro
con il marmo e con l’acciaio.
Mi sentivo bene e mi sentivo come se quel posto mi fosse
sempre appartenuto ed io a lui. Ero stranamente in simbiosi con tutto il
padiglione e in quella semplicità fui felice.
Ed ecco forse il significato di “Less is more”, frase che in
un primo momento quasi mi angosciava, lì, a Barcellona, difronte a quell’opera
così avveniristica, dava senso non solo all’architettura, ma alla vita.
Fui quasi illuminato nel giro di pochissimi minuti e forse
per la prima volta provai la sensazione di un amore a prima vista. Compresi
meglio anche il lavoro di ridisegno fatto in classe e mi fu chiaro come quell’esperienza,
quell’architetto e quella giornata settembrina a Barcellona mi rimasero indelebili
nella mente.
Provando a racchiudere con due parole il mio imprinting direi assolutamente "Libero" ed "Equilibrato"
Commenti
Posta un commento