"Il centro è dov'è l'azione"



"Il centro è dov'è l'azione". Penso che questa sia una frase potentissima, ma è giusto chiedersi cosa sia l'azione. 
Citando il vocabolario Treccani: "l'azione è la capacità umana di modificare il reale a fini economici, politici, etici". Ed è nei fini etici che voglio spostare l'attenzione di questo mio pensiero. 
Iniziato decine di anni fa, il percorso dell'architettura teorica e pratica verso la ridefinizione delle periferie ha fatto luce su una serie di aspetti che entravano nella vita personale di una grande fascia di cittadini "emarginati" ai confini della città. 
Tutt'oggi si ha, mio malgrado, ancora una visione distorta e degradata della periferia, vista come un possibile luogo "a volte abbandonato a sé stesso" ove l'architettura è un mero contenitore di vite, utile solo a dare un riparo. Si ha la giusta tendenza ad associare ad una condizione malfamata o degradata un edificio fatiscente o privo di ogni senso del gusto estetico. Ed è questo il punto. L'architettura è un motore sociale che innesca il nostro modo di vedere il mondo e le persone che lo abitano. Difficilmente pensando ai Parioli ci verrà in mente un'immagine negativa. Si penserà invece a posti tranquilli, belli e dove prosperano ricchezza e salute, immerse in un contesto urbano pensato e definito. 

Il nostro pensiero, la nostra abitudine al pensiero, deriva inevitabilmente da come abbiamo imparato, a poco a poco, a conoscere la realtà che ci circonda. 
La città si tocca, si vede, si sente, si odora. E' come un organismo vivente in continua evoluzione ma sempre più satura. Lo spazio di cui è fatta è stato già tutto (o quasi) preso e spesso è stato violentato, strappato al tessuto per meri fini economici e poi abbandonato come un vecchio oggetto senza valore.

E' qui, dunque, che voglio ricondurmi con la mia riflessione iniziale: L'azione come capacità umana di modificare il reale per fini etici. Perché l'etica, non ha tempo. Ci pone su una condizione di bene o male dove la nostra scelta di agire può essere decisiva. 

In questa città mutevole e sempre più ampia ed inclusiva il centro non è più il centro e non possiamo più ignorare la caducità di un operato senza morale, a solo scopo di lucro o ghettizzante. 

Quella che un tempo era la lontana periferia oggi sta diventando il cuore pulsante in un movimento culturale che nega a priori l'esclusione e che agisce con cultura e intraprendenza. La migrazione da un centro ad un altro porta con se un nuovo baricentro nel quale l'architettura deve rispondere una sempre più crescente richiesta di mixitè.




L'architettura è sempre la volontà di un'epoca tradotta in spazio, nient'altro” diceva Mies van der Rhoe; e ancora: “si dovrà comprendere che ogni architettura è legata alla proprio epoca e si rende visibile solo con i mezzi del proprio tempo in compiti vitali. Non è mai accaduto il contrario”

Forse oggi l'architettura deve compiere un passo in più. Deve riqualificare il tessuto slabbrato di una periferia ferita e maltrattata per dare vita ad una serie a catena di inneschi che portino al compimento della traslazione centrica, ove l'azione si compie in spazi veramente pensati, come se del resto, fossero "sempre stati lì"

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