La digitalizzazione che rende umani

"È avvenuto che il mondo, e gli architetti se ne stanno rendendo conto, è mutato e che siamo nell'epoca delle informazioni, nel pieno della Rivoluzione Informatica. E l'epoca informatica funziona non più per messaggi assertivi, causa effetto, ma per messaggi metaforici, traslati. Un edifico non è più buono solo se funziona ed è efficiente, insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più."

(Antonio Saggio, La via dei simboli)

COMMENTO AL SAGGIO "LA VIA DEI SIMBOLI" DI ANTONIO SAGGIO

Il mestiere dell'architetto ha sempre svolto un ruolo molto importante all'interno di una società, del resto l'uomo, inteso come specie, ha sempre avuto bisogno di qualcuno che gli indicasse la corretta via dell'abitare, che abitare non significa solo dormire, magiare o soggiornare presso un luogo preciso, abitare, in questo caso, indica quel posto dove la vita prende forma, si manifesta nella sua quotidianità e nelle sue imprecisioni. Abitare non significa solo casa, ma scuola, uffici, teatri, biblioteche, chiese, strade e parchi. E creare un'abitare degno di queste denominazioni, forse, è un fatto per pochi. 

E' noto come l'ambiente che ci circonda possa influenzare negativamente o positivamente la nostra giornata, se non addirittura la nostra vita. Esercitare dunque un mestiere che incida in tal modo nella vita dell'uomo necessita doverosamente di un connubio tra maniera, forma e funzionalità ma anche tra sensibilità, carattere ed emozioni. 

Ogni qual volta si parla di architettura, la si vede come un'arte o una scienza - o la sintesi tra le due - che interviene sul mondo mediante metodi e strumenti che ne consentano l'effettiva esistenza. Ma se infondo anche l'architettura e l'architetto fossero solo uno strumento? Uno dei tanti, ma uno dei migliori per codificare la realtà?

Mi piace come Mies van der Rhoe in una sua celeberrima frase spiegò per lui il ruolo dell'architettura: "L'architettura è la volontà di un'epoca tradotta nello spazio"





Sintesi quasi univoca e dimostrativa di come l'uomo si avvalga di questo meraviglioso strumento creativo per tradurre in opere e spazi, idee ed esigenze.

E' in questo passaggio, di traduzione, che cambia inevitabilmente la figura dell'architetto contemporaneo. 
Come evidenziato anche da Saggio, il contatto, la vicinanza alle sensazioni più che alle funzioni, la monumentalità intesa come "vibrazione di una società locale e globale", innestino un'esigenza al cambiamento ideologico che costringa ad un avvicinamento antropologico.

Da un certo punto di vista l'idea di simbolo ha sempre albergato nella nostra società e dunque anche parlare di un'architettura che si fa, appunto, simbolo di un particolare evento o addirittura di un'intera nazione, risulta inevitabilmente giusto.

Senz'altro quello che si evince dal testo di Saggio è come la tendenza avanguardista ad un'architettura metaforica sia sempre più usuale.
Mettendo in relazione la prima opera di Piano, il 
Beaubourg, con la sua ultima, il nuovo museo di Amsterdam, evidenzia come la volontà dell'architetto sia passata dal creare fondamentalmente una "scatola-fabbrica" ad un'architettura di metafora, sottolineando come in primo luogo il museo "è prima di tutto un edifico metafora (è dichiaratamente una grande nave) e "secondariamente" è anche un edificio che funziona."


(Centro Georges Pompidou)

(Nemo Amsterdam, museo di scienza)


Sorge dunque spontanea una riflessione. 

Come nella mappa della metropolitana di Londra di Herry Beck del 1933, nella quale viene fatto un enorme lavoro di semplificazione e astrazione della realtà per renderla, paradossalmente, più fruibile, anche l'architettura sta andando incontro a questo flusso.  

C'è una frase che mi piace ricordare ogni tanto: "la scienza cerca di spiegare il mondo, l'arte di comprenderlo"

E' forse arrivato il momento di creare un'abitare che comprenda invece che spiegare, che emozioni oltre che funzioni e che smetta di ospitare l'uomo, ma inizi a vivere insieme a lui: ecco forse che cos'è l'architettura come simbolo, una delle altre mappe per vivere meglio.

Ed è anche ironico e buffo vedere come tale sensibilizzazione sia nata con l'avvento delle macchine e come il contrasto con la fredda tecnologia, disarmante e implacabile, abbia fatto nascere un doveroso senso di ritorno alla delicatezza, ma anche alla forza di ciò che ci rende realmente umani: la capacità di saperci emozionare difronte ad un'astrazione simbolica della realtà, che essa sia una mappa, una musica, una poesia o un'architettura.


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